Effetti positivi e negativi dello stile repressore
Le persone che adottano uno stile repressore evitano il richiamo alla mente di eventi traumatici e delle emozioni ad essi associati. Ottengono bassi punteggi alla scala dell’ansia, proprio perché tengono lontani dalla coscienza, tutte quelle situazioni che potrebbero far sorgere affetti negativi. Molti studi si sono soffermati sul ruolo positivo e negativo che può avere questo meccanismo di difesa e di auto-conservazione. Nello studio di Ginzburg, Zahava Solomon & Avi Bleich (2002), sono stati osservati 116 pazienti dopo aver avuto un infarto al miocardio. Questo evento è considerato un fattore di rischio per l’instaurarsi di un disturbo acuto da stress (Ginzburg, 2001) e di un disturbo post-traumatico da stress (Ladwig, 1999). La funzionalità delle repressione consisterebbe, in questi pazienti, nell’incentivare la loro salute, rimuovendo gli stati negativi associati alla loro esperienza. In questo senso l’effetto della repressione, se utilizzata in modo flessibile e non estrema, non provoca l’allontanamento dal senso di realtà, ma anzi, promuove l’adattamento dell’organismo. Il ruolo di questo tipo di fronteggiamento sembra avere, in questi pazienti, effetti benefici a breve e a lungo termine grazie alla capacità dei repressori di distogliere l’attenzione da stimoli minacciosi e di richiamare alla mente il minor numero di dettagli relativi all’evento stressante. Altre ricerche hanno invece analizzato il comportamento assunto dai bambini che soffrono di cancro o di malattie croniche. A questi pazienti sono stati somministrati: il Children’s Social Desirability Questionnaire (Crandall, Crandall, & Katkovsky, 1965) con lo scopo di rilevare la desiderabilità sociale, con una scala simile a quella di Marlowe-Crowne, contenente item socialmente desiderabili, ma altamente improbabili, lo State-Trait Anxiety Inventory for Children (Spielberg, 1973) e l’Anger Expression Scale for Children (Phipps & Steele, 2002), che ha come fine quello di valutare le espressioni di rabbia. Dai risultati emerge che i soggetti riportano minor segni di ansia e di depressione e punteggi più alti alla scala di desiderabilità sociale, manifestando uno stile repressore con funzione di adattamento (Phipps, 2007). Questi bambini mostrano, inoltre, una minor espressione di rabbia e aggressività (Phipps & Steele, 2002). Lo studio di Lane, Merikangas, Schwartz, Huang & Prusoff (1990) ha mostrato come soggetti adulti, identificati come repressori, riportassero lungo il corso della vita, una minor prevalenza di malattie psichiatriche rispetto ai non-repressori. In un’altra ricerca effettuata su un campione di adolescenti che si presentano con stile repressore, è stato messo in luce come essi siano più tolleranti alle frustrazioni, con maggiori abilità sociali e con un’educazione maggiore rispetto ai coetanei non-repressori (Bybee, Kramer & Zigler, 1997). Altre analisi si sono, invece, concentrate sugli effetti negativi che la repressione può comportare. Il fatto che le persone sopprimano gli affetti spiacevoli può comportare, infatti, conseguenze sfavorevoli e non sempre adattive. Si è visto che la disattenzione a stimoli minacciosi, propria di questo stile, potrebbe portare ad una riluttanza nel richiedere sostegno sociale e ad impegnarsi effettivamente nel caso di una psicoterapia. In presenza di malattie croniche, i repressori presentano spesso una mancanza di attenzione ai propri segnali interni di afflizione, inclusi i sintomi fisici, che potrebbe interferire o ritardare con l’efficacia del trattamento medico (Bonanno & Singer, 1990; Schwartz, 1990). Altre ricerche hanno messo in luce alcune conseguenze negative di questo stile nel funzionamento dell’organismo, dimostrando l’alta presenza di forti emicrania, maggiore incidenza del morbo di Crohn, ulcere, allergie e ipertensione (Weinberger, 1992). Mediante studi effettuati in laboratorio, i repressori hanno mostrato maggior reattività cardiovascolare allo stress, rispetto ai non-repressori, e una più alta pressione sanguinea (King, Taylor, Albright & Haskell, 1990; Shapiro, Goldstein & Jamner, 1995). Altri parametri fisiologici rilevanti e associati allo stile repressore sono: alti livelli di glucosio (Jamner, Schwartz & Leigh, 1988), livelli di colesterolo elevati della lipoproteina a bassa densità (King, Taylor, Albright & Haskell, 1990), cambiamenti nell’ormone della crescita (Kosten, Jacobs, Mason, Wahby & Atkins, 1984), riduzione dell’immunocompetenza (Esterling, Antoni, Kumar & Schneiderman, 1993), asimmetrie dell’elettroencefalogramma (Tomarken & Davidson, 1994), incremento del cortisolo salivare (Brown, Tomarken, Orth, Loosen, Kalin & Davidson, 1996), incremento delle allergie e della sensibilità al cibo (Bell, Schwartz, Peterson & Amend, 1993). Lo stile repressore, così come definito da Weinberger, è stato associato con una salute fisica peggiore, inclusi deficit delle funzioni immunitarie (Jammer, Schwartz & Leigh, 1988), malattie cancerogene (Phipps & Srivastava, 1997), disturbi cardiovascolari (Shae et al., 1986) e cambiamenti nel ciclo mestruale (Altemus, Wexler & Boulis, 1989). Servirebbero ulteriori analisi di questi aspetti in popolazioni pediatriche, poiché la maggior parte delle ricerche si è focalizzata esclusivamente su adulti. Lo studio di Hornos (2002) ha coinvolto 200 pazienti seguiti in una clinica psichiatrica di New York a cui sono stati somministrati la scala di Marlowe-Crowne, la scala di Taylor per l’ansia e il Brief Symptom Inventory (BSI), atto a valutare una serie di sintomi psichiatrici. I pazienti delineati come repressori, rifacendosi alla definizione di Weinberger, hanno mostrato punteggi più alti alle sottoscale del BSI che misurano l’ansia, l’ansia fobica, l’aggressività, l’ostilità e la depressione e nessuna differenza tra i repressori e i non repressori alla sottoscala di somatizzazione. I repressori hanno inoltre riportato una più alta incidenza di disturbi cardiovascolari e oncologici. Nell’individuo che reprime l’espressione degli affetti negativi e della propria aggressività, potrebbero quindi diventare croniche alcune risposte fisiologiche. Alexander (1950) ipotizzò che l’ipertensione essenziale, varie sindromi cardiache, il diabete mellito, l’artrite reumatoide, l’ipertiroidismo e alcuni tipi di cefalea, potessero trovare spiegazione in questo meccanismo dove la preparazione vegetativa all’azione viene mantenuta, perché le emozioni negative sono inibite e non si esauriscono in un’espressione o azione adeguata. Molti studiosi (Engel, 1962; Grassi, 1987; Grassi & Biondi, 1992) hanno notato che i pazienti affetti da una patologia tumorale presentano frequentemente caratteristiche comuni, tra cui la tendenza a non affrontare le situazioni problematiche e i conflitti ricorrendo, tra le altre difese, anche alla repressione e una propensione ad inibire l’aggressività. Questo stile di reazione comporta una serie di alterazioni neuroendocrine e immunitarie (minore attività del sistema linfocitario e delle cellule “natural killer”, importanti per il riconoscimento delle cellule tumorali), che riducono le difese dell’organismo favorendo lo sviluppo di patologie psichiche e organiche. Kneier e Temoshok (1984) hanno studiato pazienti affetti da patologia cardiovascolare e da melanoma cutaneo maligno, riscontrando nei secondi, una maggior tendenza a reprimere i vissuti emozionali, accompagnata da un aumento della risposta psicofisiologica allo stress sperimentale. Rispetto quindi alla rassegna dei risultati di questi studi, lo stile repressore essere appare come una strategia adattiva a breve termine, poiché permette di distogliere l’attenzione su affetti negativi e minacciosi, ma se utilizzato in maniera rigida e costante può provocare danni organici di natura psicosomatica e, dal punto di vista psicologico, allontanare dalla realtà gli individui che non avrebbero quindi una visione effettiva e concreta della propria vita.
© Stile repressore e benessere - Margherita Monti