Stile repressore
Il termine “repressione” fu introdotto da Freud verso la fine del diciannovesimo secolo per descrivere un meccanismo avente lo scopo di proteggere l’Io. Secondo l’autore questo processo consiste nel respingere lontano qualcosa e mantenerlo distante dalla nostra coscienza; il motivo e lo scopo della repressione è, per Freud, l’evitamento dell’ansia. Recentemente l’interesse per questo concetto sta crescendo, così come l’attenzione nel ridefinirlo attraverso i concetti attuali e le terminologie della psicologia clinica e sociale (Baumeister, Dale & Sommer, 1998; Cramer, 1998; Loftus, 1993). I primi studi tendevano a focalizzare le analisi sul meccanismo cognitivo sottostante alla repressione, ma i risultati, basati su misure del richiamo di materiale associato con situazioni che inducevano ansia, hanno fornito prove inconcludenti ed equivoche (Gilmore, 1954; Kleinsmith & Kaplan, 1963; Levinger & Clark, 1961; Smock, 1957). Un approccio intento a comprendere e a misurare lo stile repressore, che ha riscontrato successo, è stato proposto da Weinberger, Swartz e Davidson (1979). Questi autori suggeriscono una classificazione a quattro tipologie, in accordo con i risultati che i soggetti ottenevano alla Taylor Manifest Anxiety Scale, atta a misurare l’ansia manifesta (Taylor, 1953), e alla Scala di Marlowe-Crowne sulla Desiderabilità Sociale (Crowne & Marlowe, 1964). La prima tipologia è basata sui soggetti chiamati poco ansiosi, poiché mostrano punteggi bassi in entrambe le scale. La seconda tipologia include le persone che mostrano bassa desiderabilità e punteggi alti alla scala dell’ansia; il terzo gruppo è costituito da persone con alta desiderabilità sociale e alta ansia; la quarta tipologia consiste in quei soggetti, chiamati repressori, che ottengono alti punteggi alla scala di desiderabilità sociale e bassi punteggi alla scala dell’ansia. Weinberger (1990) suggerì che i repressori fossero persone che fallivano nel riconoscere le loro risposte affettive, impegnati attivamente nella conservazione di loro stessi e convinti di non essere persone inclini agli affetti negativi. Chi adotta uno stile repressore minimizza il proprio stato di ansia e altre emozioni, così da apparire più desiderabile socialmente. Nel corso del tempo sono stati effettuati più di sessanta studi, usando la classificazione di Weinberger e il test di ANOVA per individuare se le risposte dei repressori fossero significativamente differenti da quelle degli altri tre gruppi. Gli studi che hanno esaminato variabili cognitive come l’attenzione e la memoria, indicano che i repressori soffocano i pensieri negativi e possiedono strategie di attenzione e di codifica estremamente sensibili a risposte minacciose o negative (Myers, 1998). Altri studi sulle differenze individuali hanno utilizzato misure self-report e hanno mostrato come le persone con stile repressore siano più psicologicamente sane ed equilibrate di altri gruppi (Lane, Merikangas, Schwartz, Huang & Prusoff, 1990; Bybee, Kramer & Zigler, 1997). Tuttavia ricerche sulle differenze fisiologiche hanno messo in luce il fatto che i repressori mostrano una discrepanza tra quello che riportano autonomamente e le misure fisiologiche dei livelli di ansia. La maggior parte degli studiosi sembra essere d’accorso sull’ipotesi che, mentre i repressori riportano un adattamento e un metodo di fronteggiamento sano, le misure oggettive, cognitive e fisiologiche, indicano invece che questi soggetti sono iper sensibili alle informazioni che provocano ansia, specialmente se riguardano loro stessi. Nello studio di Weinberger (1979) le persone con stile repressore mostrano, a seguito di compiti cognitivi, un’inefficacia nelle loro strategie di fronteggiamento: battito accelerato, sudore eccessivo e muscoli della fronte rigidi. I repressori, che ottengono bassi punteggi alla scala dell’ansia e alti punteggi alla scala delle desiderabilità sociale, tendono ad usare uno stile evitante di fronte ad affetti negativi. Fox, nel suo studio (1993), ha trovato che questo gruppo, davanti a compiti di vigilanza, era incline a spostare l’attenzione davanti a informazioni socialmente minacciose. In una serie di altre ricerche, i repressori hanno mostrato deficit di memoria per il richiamo di materiale autobiografico con valenza negativa (Davis, 1987, 1990; Davis & Schwartz, 1987; Myers & Brewin, 1994). Wells e Davies (1994), hanno sviluppato un questionario (il Thought Control Questionnaire, TCQ), che valuta le differenze individuali nelle strategie utilizzate per controllare pensieri indesiderati. Questo strumento identifica cinque diverse strategie: distrazione, punizione, strategie sociali, rivalutazione e preoccupazione. Myers, in una ricerca del 1998, ha voluto analizzare se gli individui con differenze negli stili di coping usassero diverse strategie di soppressione dei pensieri negativi. L’autore, utilizzando il Thought Control Questionnaire, ha ipotizzato che i repressori riportassero un uso maggiore di strategie di “distrazione”, rispetto agli altri tre gruppi, basati sulla classificazione di Weinberger. Dal momento che la “punizione” appare come un metodo di soppressione dei pensieri di tipo negativo e i repressori tendono invece ad evitare gli stati negativi e a rispondere mettendosi in buona luce (Newton & Contrada, 1994; Myers, 1995, Myers & Brewin, 1996; Myers & Veter, 1997), è stato ipotizzato che i repressori riportassero un uso minore di questa strategia, rispetto ai gruppi di controllo. La sottoscala della “preoccupazione” è correlata con le misure dell’ansia e del neuroticismo (Wells & Davies, 1994), così è stato ipotizzato che i partecipanti che mostravano punteggi più alti ai tratti di ansia, riportassero l’uso di tale strategia in misura maggiore rispetto agli altri gruppi. Nessuna ipotesi è stata avanzata per quanto riguarda le altre due tipologie di strategie. I dati hanno confermato le ipotesi dell’autore, dimostrando ancora una volta che chi possiede uno stile repressore tende a dare risposte socialmente desiderabili.
© Stile repressore e benessere - Margherita Monti